Viviamo un’epoca in cui la capacità di variare è considerata un segno di vitalità e farlo con un ritmo sostenuto è visto come un’abilità preziosa. Cambiare e adattarsi sono oggi raccomandazioni fondamentali per crescere, sia a livello personale che professionale. Queste parole d’ordine descrivono una necessità del mondo di oggi. Nell’educazione si promuovono sempre più percorsi di studio interdisciplinari e si incoraggia la formazione continua. Nella vita personale, la capacità di gestire affetti e legami a geometrie variabili è diventata un’abilità da apprendere. Allo stesso modo, all’interno delle organizzazioni, la mobilità interna è una pratica sempre più diffusa: rotazioni tra reparti, assegnazioni a progetti diversi e sperimentazione di nuovi strumenti e metodologie sono strategie utilizzate per arricchire il bagaglio professionale dei dipendenti. Questa condizione, se gestita con cura, può favorire lo sviluppo di competenze trasversali, creare nuove sinergie, far emergere talenti nascosti e mantenere alta la motivazione, la curiosità e la capacità di apprendimento. Tuttavia, è una tendenza che riesce spesso a destabilizzare.

Richard Sennett, nel suo libro L’uomo flessibile, descrive bene questa tendenza a un differente livello, quello del mercato del lavoro: “I legami forti dipendono dalla lunga consuetudine. E da un punto di vista più personale, dipendono dalla volontà di affidarsi agli altri. […] Un consulente che ha gestito di recente una riduzione di personale all’IBM dichiara che quando i dipendenti capiscono [che non possono affidarsi all’azienda] entrano nel mercato. Il distacco e la cooperazione superficiale – deduce Sennet – sono più adatti a muoversi nella realtà corrente, rispetto al comportamento basato sui valori della lealtà e del servizio” (Sennet, 2000).

Quando i cambiamenti sono troppo rapidi o mancano di coerenza, diventa difficile dare un senso alle esperienze vissute. Le attività si moltiplicano, spesso sono frammentate e richiedono tempi brevissimi, portando a una sensazione di sovraccarico. Ormai, tutto sembra muoversi a velocità algoritmiche. I campioni sportivi si sfidano ai centesimi di secondo, gli operatori finanziari agiscono in millesimi, tutto si misura al dettaglio. La risposta a questi tempi contratti e rapidissimi non può essere solo motivazionale. Il rischio è che le persone si sentano sopraffatte, vivendo ogni cambiamento come una minaccia o un’esperienza isolata, priva di connessione con un percorso più ampio. Un recente rapporto Censis-Eudaimon ha rilevato che il 47,7% dei giovani si sente esausto, mentre il 73% dei lavoratori sperimenta ansia o stress. Le cause di questi fenomeni sono molteplici, ma è plausibile che la velocità e la frammentazione delle attività quotidiane giochino un ruolo significativo. Il cambiamento, in sé, è un processo vitale e positivo, ma solo se gestito con sufficiente autonomia e con un ritmo coerente con i propri desideri e bisogni.

Il vero cambiamento, quello che può fare la differenza, è anche il più difficile da accettare e mettere in pratica. Per ritrovare un nuovo equilibrio autentico e duraturo, le imprese e le istituzioni sono chiamate a rimodulare le strategie e a promuovere un nuovo patto sociale basato sulla reciprocità e sulla legittimazione delle scelte di ogni persona. È questo il cambiamento più urgente. Coloro che percepiscono di non essere minimamente tutelati nell’insieme dei legami professionali, affettivi, geografici e sociali, difficilmente si sentiranno legati all’organizzazione o al sistema che glieli nega. In mancanza di un sufficiente grado di autodeterminazione, non c’è nessuna vitalità che possa essere agita se non come maschera per ingannare sé stessi e l’impresa per cui si lavora. La gestione strategica delle persone deve quindi orientarsi verso modelli che favoriscono la partecipazione attiva e la promozione di un adattamento autonomo ai cambiamenti, restituendo alle persone il potere di imprimere una direzione significativa alla propria crescita personale e professionale. L’orizzonte da disegnare dovrebbe creare un circolo virtuoso in cui il successo dell’impresa sia indissolubilmente legato al benessere di chi lo rende possibile.

Foto di Anna Frizen su Unsplash