Al di là di un pensiero unico che tenta di mummificare la società con bende e bindelli metastorici, c’è per fortuna chi crede che la creatività sociale, intesa come potere istituente che rinnova e adegua le istituzioni ai desideri diffusi, sia un elemento fondamentale per lo sviluppo di ogni società in quanto apre il futuro a delle possibilità, che se precluse fanno implodere quella che potremmo definire una cooperazione primaria. Un approccio che rifiuta l’idealizzazione di un ordine istituzionale naturale, sostenendo che senza un rinnovamento costante delle strutture collettive e dei loro fini, le istituzioni sono destinate a decadere.

L’odierno ordine culturale e economico, che promuove il consumismo privato come unica via al progresso, riflette una visione riduttiva del benessere. Questa prospettiva, apparentemente neutrale e progressista, nasconde un modello il cui l’obiettivo primario non sembra essere altro che la massimizzazione del profitto da parte di cerchie sempre più ristrette di persone. La pretesa di una crescita illimitata, spesso sbandierata come sinonimo di prosperità, si rivela infatti mistificatoria, portando con sé gravi conseguenze sul piano ecologico e sociale. In tale contesto, la creatività sociale, in quanto forza che sa immaginare nuove forme di vita collettiva, emerge come elemento centrale per la critica e il rinnovamento dell’ordinamento istituzionale. 

La vitalità di una società si manifesta nella sua capacità di costruire nuovi spazi di possibilità quando quelli vecchi iniziano a scricchiolare. Le imprese, così come la società civile e le istituzioni stesse, sono chiamate a riconsiderare la loro funzione nel disegnare il futuro delle società, delle sue relazioni, servizi e prodotti, a partire da concetti basilari come quello di valore generato, che non può più essere ridotto alla dimensione esclusivamente economica. Se il valore viene spesso circoscritto alla sola capacità di generare profitti, oggi è necessario riconoscerne la natura plurale, che include dimensioni sociali ed ecologiche. Esiste un valore sociale che deriva dalla capacità di un’impresa di contribuire al benessere collettivo e di rafforzare i legami comunitari e vi è un valore ecologico che si esprime nel rispetto per l’ambiente e nell’uso responsabile delle risorse naturali. Valori che entrano in relazione a quello economico senza poter essere misurati con gli stessi strumenti.  Superare una logica esclusivamente utilitaristica, di carattere estrattivo, significa riscoprire un approccio rigenerativo, una visione del valore che abbracci anche giudizi estetici ed etici, imprescindibili per uno sviluppo duraturo.

Le aziende diventano realmente responsabili contribuendo attivamente alla definizione di nuovi orizzonti sostenibili e assumendo il ruolo di agenti di una trasformazione. L’adozione di pratiche sostenibili, quali l’economia circolare, la riduzione dell’impatto ambientale e la promozione di condizioni lavorative eque, rappresenta un passaggio imprescindibile per abbracciare un’etica del progresso che trascenda il mero tornaconto economico. Le imprese devono accogliere questa sfida con uno sguardo lungimirante, consapevoli che le persone stanno maturando una maggiore consapevolezza critica che avrà effetti sul mercato dei consumi come su quello del lavoro. Più che resistere alle pressioni esterne, le imprese dovrebbero abbracciare un ruolo proattivo nella definizione di linee di sviluppo innovative. Non si tratta di seguire percorsi tracciati e apparentemente sicuri per gli investimenti o di sopravvivere alle turbolenze del mercato, ma di determinare nuove rotte, più audaci e meno battute, che abbiano come obiettivo una nuova idea di futuro. Con un atteggiamento meno resiliente e più visionario, le aziende potrebbero diventare le vere protagoniste di un cambiamento sistemico.