Il luogo di lavoro è spesso immaginato come uno scenario neutro, un semplice contenitore all’interno del quale si svolge la routine professionale. Questa visione trascura lo spazio come agente capace di plasmare comportamenti, dinamiche relazionali e processi organizzativi. Chi progetta spazi di lavoro, invece, conosce bene questo potere e lo utilizza come leva strategica: la disposizione degli ambienti, la loro accessibilità, i percorsi che favoriscono o impediscono gli incontri, l’illuminazione, l’acustica e persino la scelta dei materiali sono elementi che contribuiscono a determinare le modalità e le possibilità di relazione tra le persone.

Prendiamo, ad esempio, un ufficio open space. Da un lato, questa configurazione può promuovere la condivisione, la comunicazione spontanea e un senso di collettività, creando un’atmosfera di apertura e collaborazione. Dall’altro, può trasformarsi in un dispositivo di controllo sociale implicito, dove la mancanza di spazi privati rischia di inibire il pensiero critico, la concentrazione profonda e l’espressione individuale. Al contrario, ambienti eccessivamente compartimentati e rigidamente suddivisi possono generare una frammentazione relazionale, in cui i confini fisici si traducono in barriere sociali, alimentando dinamiche di isolamento o competizione tra team e reparti, oppure possono offrire un vantaggio significativo per attività che richiedono concentrazione, precisione e un lavoro immersivo. La chiave per comprendere come funziona uno spazio risiede nella capacità di adattarlo agli obiettivi specifici dell’attività svolta, tenendo conto della modalità con cui viene vissuto: un’attività potrebbe essere ottimale in un determinato contesto spaziale e non in un altro e viceversa, a seconda di come si struttura il vissuto di chi abita quegli spazi.

Se l’obiettivo è costruire una cultura organizzativa efficace, è essenziale partire da una domanda tanto semplice quanto spesso trascurata: lo spazio in cui lavoriamo è un alleato o un ostacolo per il raggiungimento degli obiettivi che ci siamo prefissati?

Foto di Kasper Rasmussen su Unsplash